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capitolo quarto. 85

suoi interessi, come hanno invece quello d’impedirgli di danneggiare i loro; e facilmente, da questo, si giunge a considerare come segno di forza e di coraggio il far fronte ad un’autorità così usurpata e l’eseguire con ostentazione precisamente il contrario di cio che essa prescrive. Così si videro, al tempo di Carlo II, dei costumi licenziosi succedere come una moda all’intolleranza morale nata dal fanatismo puritano. Quanto a quello che si dice della necessità di proteggere la società contro il cattivo esempio dato dagli uomini viziosi o leggieri, è vero che il cattivo esempio, sopratutto quello di nuocere impunemente agli altri, può avere un effetto pernicioso. Ma noi parliamo ora della condotta che, mentre non nuoce agli altri, si suppone dannosissima a chi la segue; ed io non vedo come, in questo caso, non si trovi l’esempio più salutare che dannoso, perchè, se esso mette in mostra la condotta cattiva, addita nello stesso tempo le conseguenze penose e degradanti che in generale, per mezzo di una censura giustamente applicata, finiscono coll’esserne l’espiazione.

Ma l’argomento più forte contro l’intervento del pubblico nella condotta personale è che, quando esso interviene, lo fa inconsideratamente. In questioni di moralità sociale o di dovere verso gli altri, l’opinione del pubblico (che e quanto dire di una maggioranza dominante) sebbene spesso falsa, ha qualche probabilità d’essere anche più spesso giusta, perché il pubblico è chiamato così a giudicare soltanto dei propri interessi e del modo con cui essi sarebbero danneggiati da una certa maniera di comportarsi, se questa fosse permessa; ma l’opinione di una tale maggioranza imposta alla minoranza come legge su questioni personali ha altrettanta probabilità di esser falsa quanto d’esser giusta. Infatti, in tali casi, le parole opinione pubblica significano tutt’al più l’opinione di qualche persona su ciò che per altre persone è buono o cattivo, e spessissimo non significano neppur questo, giacchè il pubblico con la più perfetta indifferenza trascura il piacere o la convenienza di quelli di cui biasima la condotta, e non ha riguardo che alle sue proprie inclinazioni. Molti ritengono un’offesa ogni condotta che, mentre eccita il loro disgusto, sembra loro un oltraggio ai loro sentimenti: come quel bigotto che, accusato di trattare con troppa indifferenza i sentimenti religiosi degli altri, rispondeva ch’erano gli altri a trattare con indifferenza i suoi, persistendo nelle loro abominevoli credenze. Ma non c’è alcuna identità fra il sentimento di una persona per la sua propria opinione e il sentimento di un’altra che si ritiene offesa dal veder professata questa opinione — più di quella che vi sia tra il desiderio di un ladro di prendere una borsa, e quello che prova il possessore legittimo di conservarla.