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82 la libertà

tro, la sentenza da noi emanata; — nell’altro, noi non dobbiamo occuparci di punirla in modo diverso da quello che ne deriverà naturalmente se noi, per regolare i nostri propri affari, useremo della stessa libertà che accordiamo a lei per i suoi.

Molte persone rifiuteranno di ammettere la distinzione qui stabilita, tra la parte della condotta di un uomo che tocca soltanto lui e la parte che tocca gli altri. Ci si osserverà, forse: come una parte della condotta di un membro della società può essere indifferente agli altri membri? Nessuno è completamente isolato: è impossibile ad un uomo di fare qualcosa di seriamente o costantemente dannoso per sè, senza che il male si estenda per lo meno a quelli che gli stanno vicini e spesso a molti altri. S’egli mette in pericolo la sua fortuna, nuoce a quelli che direttamente o indirettamente ne traevano un sostentamento, e di solito diminuisce più o meno la ricchezza collettiva; s’egli guasta le sue qualità fisiche o morali, non fa soltanto danno a tutti quelli il cui bene dipendeva da lui, ma si rende incapace di compiere i suoi doveri verso il prossimo in generale; diviene forse un grave carico per l’altrui benevolenza o per l’affetto altrui, e, se una tale condotta fosse più frequente, poche colpe diminuirebbero di più la massa generale dei beni. In fine, ci si può dire, se una persona non cagiona agli altri un danno diretto coi suoi vizi o colle sue follie è non di meno perniciosa per l’esempio ch’essa dà, e dovrebbe esser costretta a frenarsi pel bene di quelli che la vista o la conoscenza della sua condotta potrebbero corrompere o traviare.

Ed anche — si aggiungerà — se le conseguenze della mala condotta fossero circoscritte agl’individui viziosi o poco riflessivi, la società potrebbe abbandonare a sè stessi quelli che evidentemente sono incapaci di guidarsi? Se la società, come tutti riconoscono, deve protezione ai bambini e ai minorenni, non ne deve forse allo stesso modo alle persone d’un’età matura che sono egualmente impotenti a governarsi da sè? Se il giuoco o l’ubbriachezza o l’incontinenza o l’ozio o l’oscenità sono ostacoli al bene ed al progresso altrettanto gravi che la maggior parte delle azioni dalla legge vietate, perchè la legge non tenterebbe, fin dove la cosa è possibile, di reprimere anche questi abusi? E per supplire alle inevitabili imperfezioni della legge, l’opinione non dovrebbe essa almeno organizzare una forte polizia contro questi vizi, e dirigere contro quelli che ne sono macchiati tutti i rigori delle penalità sociali? Non si tratta qui — ci dicono — di comprimere la individualità nè d’impedire che si provi qualche maniera di vivere nuova ed originale; le sole cose che si cerca d’impedire sono cose che furono già provate e, da che mondo è mondo, condannate: