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52 | la libertà. |
promesso graduale, della legalità; essa considera la speranza del cielo e il timor dell’inferno come le spinte di una vita virtuosa; e restando in questo ben al di sotto dei saggi dell’antichità, fa ciò che può per dare alla morale umana un carattere essenzialmente egoista, separando i sentimenti di dovere presso ciascun uomo dagl’interessi dei suoi simili, tranne che quando un motivo interessato lo conduca ad avervi riguardo. È essenzialmente una dottrina di passiva obbedienza; inculca la sommessione a tutte le autorità costituite; o cioè alle autorità non vuole si obbedisca attivamente quando esse comandino ciò che la religione proibisce; ma non si deve resister loro, meno ancora ribellarsi, per ingiuste ch’esse siano. E mentre nella morale delle migliori nazioni pagane i doveri del cittadino verso lo stato tengono un posto sproporzionato ed usurpano il campo della libertà individuale, nella morale puramente cristiana questa gran parte dei nostri doveri è appena ricordata o riconosciuta. Nel Corano e non nel Nuovo Testamento noi leggiamo questa massima: Un governante che nomina un uomo ad un impiego, quando c’è nei suoi stati un altr’uomo più degno di occuparlo, pecca contro Dio e contro lo Stato. Se l’idea d’obbligo verso il pubblico è giunta a farsi strada nella morale moderna, essa è stata attinta non al Cristianesimo, ma ai Greci ed ai Romani. Allo stesso modo, quello che c’è nella morale privata di magnanimità, di elevazione di spirito, di dignità personale, e direi anche di senso d’onore proviene non dalla parte religiosa, ma dalla parte puramente umana della nostra educazione, e non avrebbe mai potuto essere frutto di una dottrina morale che non riconosce del merito se non nell’obbedienza.
Io sono ben lontano dall’affermare che questi difetti siano necessariamente inerenti alla dottrina cristiana, qualunque sia la forma in cui la si concepisce, o anche dall’affermare che quanto le manca per essere una dottrina completa sia con essa inconciliabile; e tanto meno pretendo d’insinuar questo a proposito delle dottrine e dei precetti di Cristo stesso. Io penso che le parole di Cristo sono chiaramente tutto quello che han voluto essere; ch’esse non sono inconciliabili con nulla di quanto è richiesto da una morale completa; che vi si può far rientrare tutto quanto v’è di eccellente in fatto di dottrine morali senza violentarne il significato più di quello che abbiano fatto quanti hanno tentato di dedurne un qualunque sistema di pratica condotta. Ma credo nello stesso tempo — e non sono con questo in contraddizione — ch’esse non contengano nè volessero contenere se non una parte della verità.
Io credo che, nei suoi precetti, il fondatore del cristianesimo abbia a bello studio trascurati molti elementi essen-