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42 | la libertà |
risolvere le difficoltà, se non il pubblico, dovranno prendere dimestichezza con tali difficoltà sotto la loro forma più terribile, e per questo occorre che le si possano esporre liberamente e mostrare sotto il loro aspetto più vantaggioso.
La Chiesa cattolica tratta a suo modo questo imbarazzante problema: tracciando una linea di demarcazione bene spiccata tra quelli che debbono accettare le sue dottrine come materia di fede e quelli che le possono adottare per convinzione. In realtà, essa non permette ad alcuno di fare una scelta di ciò che egli accetterà; ma il clero, là almeno ov’esso merita la sua piena fiducia, ha licenza, ed anzi si fa un merito, col prender conoscenza degli argomenti degli avversari affine di rispondere ad essi: può per conseguenza leggere i libri eretici: i laici non lo possono senza uno speciale permesso, ottenuto assai difficilmente. Questa disciplina considera come utile agli insegnanti di conoscere la causa avversa, dando così all’élite più coltura di spirito, se non maggiore libertà, che alla massa. Con questo mezzo, essa riesce ad ottenere quella specie di superiorità intellettuale che a raggiungere il suo scopo si richiede; poichè, sebbene la coltura senza la libertà non abbia mai fatto uno spirito vasto e liberale, pure si può ottenere un abile nisi prius avvocato d’una causa. Ma questo vantaggio è negato ai paesi che professano il protestantesimo, poiche i protestanti sostengono, in teoria almeno, che la responsabilità della scelta di una religione deve pesare su ogni individuo, e non può essere rigettata sugl’insegnanti. Del resto, nello stato presente del mondo, è praticamente impossibile che le opere lette dalle persone colte siano ignorate dagli altri. Se gl’institutori dell’umanità devono essere competenti su tutto quello ch’essi son tenuti a sapere, deve essere anche permesso di tutto scrivere e di tutto pubblicare liberamente.
Tuttavia se, quando le opinioni comunemente accette son vere, l’assenza della libera discussione non cagionasse altro male tranne quello di lasciar gli uomini nella ignoranza dei principi di tali opinioni, si potrebbe considerarla come un male non morale, ma semplicemente intellettuale e che non tocca per niente il valore delle opinioni quanto alla loro influenza sul carattere. Ma la verità è che l’assenza di ogni discussione fa dimenticare non soltanto i principi, ma troppo spesso il senso medesimo dell’opinione; le parole che l’esprimono cessano di suggerire delle idee, o suggeriscono soltanto una piccola parte di quelle che originariamente sapevan fornire. In luogo di una concezion forte e di una credenza vivente, non resta che qualche frase ritenuta per abitudine, o, se si ritiene qualcosa del significato, è soltanto il guscio e la scorza: la più pura intima essenza va perduta. La grande importanza che questo fatto ha nella storia degli uomini non sarà mai troppo seriamente studiata e meditata.