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capitolo secondo. | 37 |
possono del loro modo di pensare a premesse che, nel loro interno, essi negano, non può produrre di quei caratteri franchi e arditi, di quelle intelligenze logiche e sode che in altri tempi ornarono il mondo dei pensatori. La specie d’uomini che si può attendere sotto questo regime presenta o dei semplici schiavi del luogo comune o dei servitori guardinghi della verità, i cui argomenti sopra tutti i grandi soggetti sono proporzionati al foro uditorio, e non sono quelli di cui essi stessi si appaghino. Gli uomini che evitano questa alternativa ci riescono limitando il loro pensiero è il loro interessamento a quelle cose di cui si può parlare senza arrischiarsi nella region dei principi; cioè ad un piccolo numero di materie pratiche che riescirebbero a grandi cose per sè stesse, se l'intelligenza umana acquistasse forza e vastità, e che non vi riusciranno mai fintanto che quello che rafforzerebbe ed estenderebbe lo spirito umano — un libero ed audace esame dei soggetti più elevati — è lasciato in abbandono.
Gli uomini agli occhi dei quali questo silenzio degli eretici non è un male dovrebbero considerare anzitutto che, in conseguenza di un tal silenzio, le opinioni eterodosse non sono mai discusse e approfondite in modo leale, cosicchè quelle fra esse che non potrebbero sostenere una tale discussione non iscompajono, per quanto forse s’impedisca ad esse di estendersi. Ma non è allo spirito degli eretici che nuoce di più la proibizione di tutte le ricerche le cui conclusioni non sono ortodosse; quelli che ne soffrono di più sono gli ortodossi stessi, il cui sviluppo intellettuale è impacciato e la cui ragione è raffrenata dal timor dell’eresia. Chi può calcolare tutto ciò che il mondo perde con una tale quantità di belle intelligenze alleate a caratteri timidi, che non osano abbandonarsi a un modo di pensare ardito, vigoroso, indipendente, per paura di giungere ad una conclusione irreligiosa o immorale agli occhi di qualcuno? E voi vedete qualche volta un uomo profondamente coscienzioso, d’un’intelligenza sottile e raffinata, che passa la vita a sofisticare colla intelligenza, che egli non può ridurre al silenzio, e che esaurisce tutte le qualità dello spirito per conciliare le inspirazioni della sua coscienza e della sua ragione con l’ortodossia, cosa a cui, dopo tutto, egli forse non riesce.
Nessuno può essere grande pensatore se non considera come suo primo dovere, in qualità di pensatore, di seguire la sua intelligenza dovunque essa lo possa condurre; la società guadagna sempre di più anche dagli errori d’un uomo il quale, dopo lo studio e la preparazione voluta, pensa con la sua testa, che dalle opinioni giuste di quelli che le professano soltanto perchè non si permettono di pensare. Non già che la libertà di pensiero sia necessaria