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capitolo secondo. 35

principio, anche quando non siano più abbastanza malvagi per desiderare realmente di metterlo in pratica. Ma pur troppo non si può esser sicuri se continuerà o no, nello stato dello spirito pubblico, questa sospensione delle più odiose forme di persecuzione legale, che dura da circa sessant’anni nel nostro secolo, la quieta superficie della routine è turbata da tentativi fatti altrettanto spesso per risuscitare dei mali passati che per introdurre dei beni nuovi.

Quello di cui ora ci si vanta come del rinascere della religione, è sempre almeno altrettanto, negli spiriti angusti ed incolti, il rinascere del fanatismo; e quando c’è nel sentimento di un popolo il lievito permanente e potente d’intolleranza che fermentò in ogni tempo in mezzo alle classi medie del nostro paese, non occorre molto per sospingerlo a perseguitare attivamente quelli ch’essi non hanno mai cessato di considerare degni di persecuzione1.

Poichè sono proprio le opinioni dagli uomini professate e i sentimenti ch’essi nutrono a proposito dei dissidenti, quanto alle credenze stimate importanti, che fanno di questo paese un luogo dove la libertà del pensiero non esiste. Già da molto tempo, l’unico torto delle penalità legali è quello di sostenere e di rafforzare lo stigmate sociale.

  1. Tutta la passione di persecuzione che si è mescolata, durante la rivolta degli Indiani, al generale dispiegarsi delle parti più cattive del nostro carattere nazionale, ci offre qui un grande insegnamento. I furori dei fanatici e dei ciarlatani del pergamo non sono, forse, degni di nota; ma i capi del partito evangelico hanno enunciato come loro principio di governo per gli Indiani e per i Maomettani che nessuna scuola in cui la Bibbia non sia insegnata deve essere sovvenzionata dallo stato, e che nessun impiego pubblico deve essere accordato a chi non è cristiano o non si dà per tale. Un sotto-segretario di stato, in un discorso diretto ai suoi elettori, il 25 novembre 1857, si esprimeva, stando ai resoconti, così: “Il governo inglese, tollerando la loro fede (la fede di 100 milioni di sudditi britannici), la superstizione ch’essi chiamano religione, non ha ottenuto altro risultato che di ritardare la supremazia crescente del nome inglese, e d’impedire la salutare diffusione del cristianesimo.„ La tolleranza è stata la pietra angolare delle libertà del nostro paese: ma non bisogna ingannarsi su questa preziosa parola. Nel modo con cui l’intendeva il sotto-segretario di stato, significava la completa libertà per tutti, l’affrancamento del culto — fra i cristiani, che hanno un culto fondato sulle stesse basi; significava la tolleranza di tutte le diverse sette di cristiani che credono però in un solo mediatore. Io desidero richiamare l’attenzione su questo fatto, che un uomo stimato degno di occupare un impiego elevato nel governo del nostro paese, sotto un ministero liberale, afferma questa dottrina: che non si ha diritto alla tolleranza quando non si crede alla divinità di Cristo. Dopo lo sciocco discorso che abbiamo testè riportato, chi può credere ancora che le persecuzioni religiose siano per sempre finite?