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capitolo secondo. 29

pefazione e l’orrore della posterità. Noi ne troviamo degli esempi memorabili nella storia, quando vediamo il braccio della legge occupato a distruggere gli uomini migliori e le più nobili dottrine: — e questo, pur troppo con grande successo quanto agli uomini; quanto alle dottrine, parecchie hanno sopravvissuto, per essere proprio (quasi per derisione) invocate in difesa di una simile condotta verso di quelli che non le accettavano, o che ne rifiutavano la interpretazione comune.

Non si può ricordare abbastanza sovente alla specie umana che vi è stato un uomo, il quale si chiamò Socrate, e che vi fu un memorabile conflitto tra quest’uomo da una parte e le autorità legali e l’opinione pubblica dall’altra. Egli era nato in un secolo e in un paese ricchi di grandezze individuali; la sua memoria ci è stata trasmessa da quelli che conoscono meglio lui e l’età che fu sua, come la memoria dell’uomo più virtuoso del suo tempo. Noi lo conosciamo al tempo istesso come il caposcuola e il prototipo di tutti quei grandi maestri di virtù che vennero dopo di lui, attraverso la sorgente e dell’inspirazione di Platone e del giudizioso utilitarismo di Aristotele, «i maestri di color che sanno», i due creatori di qualunque filosofia, etica e non etica. Questo maestro riconosciuto da tutti i pensatori eminenti a lui posteriori; quest’uomo la cui gloria sempre crescente da più che duemila anni supera quella di tutti gli altri nomi che resero illustre la sua città natale, fu mandato a morte dai suoi concittadini, dopo una condanna legale, come colpevole d’empietà e d’immoralità. Empietà, perchè negava gli dei riconosciuti dallo Stato; a vero dire il suo accusatore affermava ch’egli non credeva in alcuno (vedi l’Apologia). Immoralità, perchè corrompeva la gioventù con le sue dottrine e coi suoi insegnamenti. Si hanno tutte le ragioni per credere che il tribunale lo abbia trovato, in coscienza, colpevole di questi delitti; ed esso condannò ad esser mandato a morte come un volgare malfattore l’uomo che fra i suoi contemporanei era probabilmente il più benemerito verso la specie umana.

Passiamo all’altro, unico esempio d’iniquità giudiziaria per ricordare il quale, dopo la morte di Socrate, non si deva scendere un gradino più basso. Noi alludiamo all’avvenimento che si compì sul Calvario, più che diciotto secoli or sono. L’uomo che lasciò in tutti quelli che l’avevano veduto e sentito una tale impressione della sua grandezza morale, che diciotto secoli hanno reso omaggio a lui come all’Onnipotente, fu condannato a morte ignominiosa. Perchè? Come bestemmiatore. Non soltanto gli uomini non riconobbero punto il loro benefattore, ma lo presero pel contrario esatto di quello ch’egli era, e lo trattarono come un prodigio d’empietà. Ed ora son ritenuti essi come tali,