Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo primo. | 11 |
protetto contro tutto questo. C’è un limite all’azione legittima della opinione collettiva sull’indipendenza individuale: trovare questo limite e difenderlo contro qualunque usurpazione è indispensabile ad una buona condizione delle cose umane altrettanto che proteggerci contro il dispotismo politico.
Ma, se questa proposizione non è contestabile in termini generali, la questione pratica del dove il limite si debba porre, del come si debbano metter d’accordo la libertà individuale e la sociale sorveglianza, è un argomento sul quale quasi tutto è ancora da fare. Tutto ciò che dà qualche valore alla nostra esistenza dipende dalla coazione imposta alle azioni d’altri: dunque alcune regole di condotta debbono essere imposte dalla legge anzitutto, e poi dall’opinione, per quelle molte cose su cui la legge non può esercitare un’azione.
Quali debbono essere queste regole? Tale è la fondamental questione nelle cose umane; ma, eccezion fatta per qualcuno dei casi più importanti, è anche quella per la soluzione della quale si è fatto il minor cammino.
Non vi sono due secoli nè, quasi, due paesi che su questo siano arrivati alla stessa conclusione; e la conclusione di un secolo o di un paese è argomento di stupore per un altro. Tuttavia, gli uomini di ciascun secolo o di ciascun paese non trovano la questione più complicata che se si trattasse di un soggetto su cui la specie umana sia sempre andata d’accordo. Le regole che in mezzo a loro predominano sembrano evidenti ed aventi in sè stesse la loro giustificazione: questa illusione quasi universale è uno degli esempi della magica influenza dell’abitudine, la quale non soltanto, come dice il proverbio, è una seconda natura, ma continuamente è scambiata con la natura medesima. L’effetto dell’abitudine, impedendo che alcun dubbio si elevi a proposito delle regole di condotta dall’umanità imposte a ciascuno, è tanto più completo in quanto che, su questo argomento, non si considera generalmente come necessario di poter dare delle ragioni o agli altri o a sè stesso: si è avvezzi a credere (e certuni che aspirano al titolo di filosofi c’incoraggiano in questa opinione) che i nostri sentimenti su soggetti di tal natura valgano meglio di ragioni e rendano queste inutili. Il principio pratico che ci guida nelle nostre opinioni sul modo di regolare la condotta umana, è l’idea, nello spirito di ciascuno, che gli altri dovrebbero esser costretti ad agire come desidererebbe egli e quelli per quali egli ha simpatia. In realtà, nessuno si confessa che il regolatore del suo giudizio è il suo proprio capriccio; eppure un’opinione su un punto di condotta, che non è sostenuta da ragioni, non può considerarsi se non come la tendenza di una persona; e se le ragioni, una volta date, non sono che un semplice richiamo ad una simile tendenza a cui altre