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capitolo quinto. 101

in teoria, quantunque tutti debbano esser liberi di giocare in casa propria, o in casa d’altri, o in qualche luogo di riunione fondato per sottoscrizioni ed aperto solamente ai membri ed a chi vuol far loro una visita, non di meno non bisogna permettere le case pubbliche di giuoco. È vero che la difesa non è mai efficace, per grandi che siano i poteri di cui si armi la polizia, e che le case di giuoco possono sempre essere aperte sotto altri pretesti; ma esse sono obbligate a condurre le loro operazioni sotto un certo velo di segreto e di mistero, in modo che nessuno ne sappia nulla, tranne quelli che ricercano queste case: la società non deve chiedere nulla di più.

Questi argomenti hanno una forza considerevole; io per altro non oserei decidere s’essi bastino a giustificare l’anomalia morale che vi è nel punire l’accessorio quando il principale è e deve essere libero, nel mettere in prigione, per esempio, chi tiene la casa di giuoco e non il giuocatore stesso.

Ancora meno si dovrebbe, per simili ragioni, intervenire nelle operazioni comuni di compravendita. Quasi tutto ciò che si compera e che si vende si può prestare ad eccessi, e i venditori hanno un interesse pecuniario ad incoraggiarli: ma da questo non si può dedurre un argomento in favore, per esempio, della legge di Maine, perchè i negozianti di bevande spiritose, sebbene interessati all’abuso, sono indispensabili a cagione dell’uso legittimo di tali bevande. Tuttavia l’interesse che questi commercianti hanno a favorire l’intemperanza è un male reale, e giustifica lo Stato quando impone delle restrizioni ed esige delle garanzie, che, senza questo motivo, sarebbero violazione della libertà legittima.

Sorge ancora una questione: ed è di sapere se lo Stato, mentre tollera una condotta ch’esso crede contraria ai più preziosi interessi dell’agente, non debba ciò non di meno sconsigliarla indirettamente; se, per esempio, per rendere l’ubbriachezza più costosa o più rara, egli non debba studiare il modo di limitare il numero dei luoghi di vendita. In questa, come nella maggior parte delle questioni pratiche, bisogna fare una quantità di distinzioni. Colpire d’imposta le bevande alcooliche, allo scopo di renderle più difficili ad ottenersi, è un provvedimento che differisce ben poco dalla loro completa proibizione e non è giustificabile se la proibizione stessa non lo sia; ogni aumento di prezzo è una proibizione per quelli che non possono giungere al prezzo nuovo, e, quanto a quelli che possono, essi subiscono però una penalità per la soddisfazione di questo loro gusto.

La scelta dei loro piaceri e del modo di spendere il loro danaro, dopo ch’essi hanno adempiuto le loro obbligazioni legali e morali verso lo Stato e gli individui, non riguarda