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sotto un’apertura, sotto un angolo, come si suol dire, di almeno venti secondi se l’oggetto è luminoso, od almeno di un minuto se l’oggetto è opaco ma però bene illuminato.
Ecco perchè ho dovuto erigere degli scopi luminosi agli estremi dei grandi rettilinei: perchè, se a quelle notabili distanze avessi voluto ergere degli scopi opachi, sarebbero occorsi di tale ampiezza da renderne costosa e difficile la costruzione e la manutenzione, e fors’anche impossibile a quella altezza di circa venti metri, a cui conveniva spingerli quasi sempre.
207.° Anche contro questi castelli di legno, e contro questi scopi luminosi, il dottore Cattaneo, con quella sua solita sollecitudine di consiglio, accumula ora, a fuochi spenti, a castelli distrutti, a progetto già fatto ed approvato, una montagna di biasimi, colla solita sequela di opportuni consigli; e per darsi poi un po’ di spalla, vuol far credere che egli ha in questo, in aiuto suo, le mormorazioni di tutti gli ingegneri (pagina 18 ); a dirittura di tutti.
208.° E qui, dopo di aver largito al pubblico qual nuovo frutto dello spontaneo di lui zelo, qual nuova scoperta della di lui mente e del di lui studio (pagina 17),
che le carte topografiche di un paese non possono indicare i continui livelli, la forza del fondo l’opportunità dei materiali, la profondità e la forza delle acque, e tutti gli elementi da valutarsi nell’eleggere una linea di costruzione;
ma bensì, quando sono ben fatte, «l’esatta posizione dei luoghi»;
mi viene dicendo che quel mio modo di tracciare la linea (pagina 18) fu un lavoro inutile e mal sicuro, una teatrale costruzione di torri, di fuochi, buona appena se si avesse dovuto slanciare una prima traccia di mappa topografica nelle solitudini dell’Orenoco;
concludendo che, per eseguire quel tracciato, poteva ben contentarmi della carta topografica dell’Istituto.
209. Così, mentre io per lo studio della zona e della linea seguo il terreno, il dottore Cattaneo inventa che seguo la carta, e su questa bella invenzione mi regala un’accusa d’ignoranza e di negligenza, e mi insegna che avrei dovuto seguire il terreno. E quando pel tracciato della linea, costante nei miei principii e nelle mie pratiche, seguo il terreno e mi appoggio ai fatti, il dottore Cattaneo mi critica perchè ho seguito il fatto ed il terreno, e mi viene dicendo che avrei dovuto invece seguire la carta. In somma con questi critici d’infima lega non vi è modo d’indovinarla.
210.° Ma con pace del dottore Cattaneo, e a malgrado delle sapienti di lui osservazioni, io sono ancora convinto che il metodo da me seguito per tracciare la linea, è il più economico, il più esatto, il più sicuro, il più spedito, quando si tratta, come si trattava nel caso mio, di tracciare delle lunghe mosse, di lunghe rette che dovevano giugnere ad un punto dato, e non un po’ più in qua o un po’ più in là tra dati limiti; quando si tratta di tracciarle in terreni ingombri, in istagione non propizia a simili lavori, in giorni ed in notti nebulose; quando si tratta di una linea fondamentale, base di tutte le operazioni future.
211.° Gli ingegneri del Regno lombardo-veneto conoscono, come io conosco, la carta topografica dell’Istituto di una esattezza certo maggiore di ogni elogio: anche le altre nazioni, e singolarmente la Francia, l’Inghilterra ed il Belgio possedono delle buone, delle ottime carte topografiche dei loro territorii; e pure io ho veduto in Italia, in Francia, in Inghilterra e nel Belgio tracciare, come ho fatto io, i grandi rettilinei delle strade, non solamente per le strade di ferro, ma anche per le strade postali ed anche per le comunali. Convien dunque concludere, malgrado le goffe lepidezze dell’Orenoco, che il metodo che