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Romæ Divi Petri postes, sedente Eugenio P. M., ex ære fecit, hoc opus accipies. Quin etiam Mediolani, imperante Francisco Sfortia, qui primus lapidem in iaciendo fundamento sua manu statuit, amplissimum miserorum hospitium Divinæ Pietati dicatum ipse statui, variaque in ea urbe opera fabricatus sum. Così secondo la versione Latina da riferirsi qui innanzi.

L’opera dell’Averulino, per dirne qualche cosa; giacchè da molti è citata, ma alla stampa non si diede mai; è intitolata Dell’Architettura, ed è in venticinque libri divisa. Fu prima da lui scritta in volgare linguaggio, ed a Francesco Sforza nell’anno 1460. dedicata; siccome il Conte Iacopo Carrara l’ha trovata vendibile in Siena (Lettere pittoriche, T. IV. p. 316. T. V. p. 234.). Quattro anni dopo, avendovi fatti cambiamenti ed aggiunte, a Pietro de’ Medici egli medesimo con altra dedicazione la presentò; e di questo secondo lavoro un esemplare si serba nella Libreria di San Michele presso Valenza, insieme con altri codici a penna, stati già di Ferdinando d’Aragona Duca di Calabria, e registrati nell’Indice de’ più preziosi volumi di quella Libreria, dal chiarissimo Sig. Abate Giovanni Andres, per gentilezza sua singolare, a me comunicato. Anche lo Scamozzio, per detto suo, ne possedeva un testo volgare, che facilmente a questo secondo corrispondeva (Idea dell’ Architettura, Lib. I. cap. 6.). Ma portata l’opera volgare da Francesco Bandini Fiorentino nell’Ungheria a tempo di quel gran fautore e promovitore delle lettere e delle arti nel suo regno Mattia Corvino; commise questo ad Antonio Bonfinio Ascolano, che nella sua corte aveva, di recarla in Latino per uso della nazione. Così tradotta, ed al Re dal traduttore dedicata,


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