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v’erano scritte, due cioè della Legge Toria sopra cose agrarie, e due della Legge Servilia sopra cose giudiziarie; li quali, venute le lamine in potere di Fulvio Orsino, furono l’anno 1583 riprodotti nelle Leggi e Decreti Romani da Antonio Agostini, ed in appresso dal Grutero nelle antiche Iscrizioni (Tab. CCII. DVI. DVII.): ma dall’Orsino al Cardinale Odoardo Farnese con altre simili cose lasciate ancor esse (Ursini Testam. post Vitam a Josepho Castalione), pervennero finalmente al Museo di Parma, in cui il March. Maffei le ha osservate (Osservazioni letterarie, T. III. p. 290.). Tenne Torquato con gran diligenza presso di se le anticaglie dal padre lasciate. Sunt adhuc omnia, diligentissimeque asservantur apud filium Torquatum Bembum, scriveva Alessandro Bassano nell’opera allegata. Nè si contentò dapprima di conservarle, ma le accrebbe ancora, a detta specialmente di Melchiorre Guilandino Prefetto dell’Orto Pubblico di Padova, che n’era testimonio di veduta (Melchioris Guilandini Papyrus, p. 59. ed. Venet. 1572.). Qualunque però ne fosse la cagione, Torquato prese il partito di privarsi de’ più rari monumenti, ed in Roma lo fece, dove trovandosi Ercole Basso nel 1583 scrisse al Cav. Niccolò Gaddi: Monsignor Bembo è qua in Roma, dove ha fatto esito d’una gran parte del suo studio (Lettere pittoriche, T. III. p. 197.). Allora fu che Fulvio Orsino, oltre li famosi codici di Terenzio, di Virgilio, e del Petrarca insieme comperati, acquistò le quattro Tavole di bronzo sovraccennate, le quali morendo nel 1600 al Card. Farnese lasciò. Un grande avanzo però del Museo del Bembo deve alla fine averne comperato in Venezia il celebratissimo Niccolò Claudio Fabricio di Peiresc; di cui scrive il Gassendo nella Vita di esso, che Bembi Equi-


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