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risalendo la kama

Strogoff, ed avrò come favore del cielo di poter rimettere Nadia Fédor sana e salva fra le mani del padre suo.

— Grazie, fratello, rispose Nadia.

Michele Strogoff aggiunse allora che aveva ottenuto un podarosna speciale per la Siberia e che da parte delle autorità russe nulla poteva intralciare le sue mosse.

Nadia non volle sapere di più. Essa vedeva una cosa sola, nell’incontro di quel giovine semplice e buono, il mezzo per lei di giungere fino al padre.

— Io aveva, gli disse, un permesso che mi dava facoltà di andare ad Irkutsk, ma il decreto del governatore di Nijni-Novgorod lo ha annullato, e senza di te, fratello, non avrei potuto lasciare la città nella quale mi hai trovato ed in cui sicuramente sarei morta!

— E sola, Nadia, rispose Michele Strogoff, sola, osavi avventurarti attraverso le steppe della Siberia?

— Era mio dovere, fratello.

— Ma non sapevi tu che il paese, sollevato ed invaso, era divenuto quasi insuperabile?

— L’invasione tartara non era conosciuta quando io lasciai Riga, rispose la giovane livoniana. A Mosca soltanto appresi questa notizia.

— E ciò non ostante proseguivi la tua strada?

— Era il mio dovere.

Queste parole dimostravano tutto il carattere della coraggiosa giovinetta. Il suo dovere, Nadia non esitava mai a farlo.

Essa parlò del padre suo, Wassili Fédor. Era un medico stimato di Riga. Esercitava la sua professione con fortuna e viveva felice in mezzo