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là dei monti Urali per giudicare coi proprî occhi la gravità degli avvenimenti e trovarsi in grado di provvedere ad ogni occorrenza; e stava forse per chiedere informazioni più precise a qualche indigeno di Kazan, quando la sua attenzione fu distratta improvvisamente.
Tra i viaggiatori che lasciavano il Caucaso, Michele Strogoff riconobbe allora la compagnia di zingari che la vigilia era ancora sul campo di fiera di Nijni-Novgorod. Colà, sul ponte dello steam-boat, si trovavano il vecchio zingaro e la donna che gli aveva dato della spia. Con essi e sotto la sua direzione, senza dubbio, sbarcavano una ventina di danzatrici e di cantanti dai quindici ai vent’anni, avvolte in cattive coperte che nascondevano le loro sottane a pagliuzze d’orpello.
Quelle stoffe, come punteggiate allora dai primi raggi del sole, ricordarono a Michele Strogoff il bizzarro effetto che egli aveva osservato durante la notte. Era tutto quel brulichio di zingari che scintillava nell’ombra, quando il camino del battello a vapore eruttava qualche fiamma.
— È evidente, pensò egli, che questa compagnia di zingari, dopo essere rimasta sotto il ponte durante il giorno, è venuta ad accoccolarsi sotto il castello durante la notte. Stava dunque loro a cuore di mostrarsi il meno possibile? Tale per altro non è l’abitudine della loro razza!
Michele Strogoff non dubitò più allora che le parole che si riferivano direttamente a lui non fossero venute da quel crocchio nero, e non le avessero dette il vecchio zingaro e la donna a cui egli aveva dato il nome mongolo di Sangarre.
Michele Strogoff con un moto involontario si spinse dunque verso il cupé del battello a vapore