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un’ ordinanza in due articoli

parte di Wladimir, sia da quella dei monti Urali. Lo scambio dei dispacci telegrafici con Mosca e S. Pietroburgo era continuo. Evidentemente la situazione di Nijni-Novgorod, non lungi dalla frontiera siberiana, esigeva serie precauzioni. Non si poteva dimenticare che nel secolo XIV la città era stata presa due volte dagli antenati di quei Tartari che l’ambizione di Féofar-Kan gettava attraverso le steppe kirghize.

Un altro personaggio, non meno occupato del governatore generale, era il mastro di polizia. I suoi ispettori ed egli, incaricati di mantener l’ordine, di ricever reclami, di vegliare alla esecuzione dei regolamenti, non oziavano. Gli uffizî dell’amministrazione, aperti notte e giorno, erano continuamente assediati così dagli abitanti della città, come dagli stranieri, europei od asiatici.

Ora Michele Strogoff si trovava appunto sulla piazza centrale, quando si sparse la voce che il mastro di polizia era stato chiamato per istaffetta al palazzo del governatore generale. A quel che si diceva, un importante telegramma venuto da Mosca aveva prodotto questo tramutamento.

Il mastro di polizia si recò dunque al palazzo del governatore, e subito, come per un presentimento generale, circolò la notizia che qualche grave misura, assolutamente impreveduta ed inconsueta, doveva essere presa.

Michele Strogoff ascoltava quanto si diceva per approfittarne all’occorrenza.

— Si chiuderà la fiera! esclamava uno.

— Il reggimento di Nijni-Novgorod ha ricevuto l’ordine della partenza! rispondeva l’altro.

— Si dice che i Tartari minacciano Omsk!

— Ecco il mastro di polizia! si gridava da tutte le parti.