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— 122 — un dramma al messico |
Si udì uno scoppio formidabile di tuono.
— Taci, taci, Josè! gridò Martinez, che non sembrava più padrone di sè stesso.
— La notte è scelta bene per farmi il sermoncino, ripigliò a dire il gabbiere, se avete paura, luogotenente, chiudete gli occhi e turatevi le orecchie.
— Mi pare di vedere il capitano... don Orteva... colla testa sfracellata... là... là...
Un’ombra nera, illuminata da un lampo, si drizzava a venti passi del luogotenente e dal suo compagno.
Al medesimo istante Josè vide al suo fianco Martinez, pallidissimo in volto, col braccio armato d’un pugnale.
— Che cosa è stato? esclamò egli.
Un lampo gli avvolse tutti e due.
— Ajuto! gridò Josè.
Non vi era più che un cadavere in quel luogo. Nuovo Caino, Martinez fuggiva attraverso l’uragano, brandendo la sua arma insanguinata.
Alcuni istanti dopo, due uomini si curvavano sul cadavere del gabbiere, dicendo:
— E uno!
Martinez vagava come un pazzo in quelle tenebrose solitudini, correndo a capo ignudo sotto la pioggia che diluviava.
— Ajuto! ajuto! urlava egli incespicando sulle rupi sdrucciolevoli.
A un tratto si udì un gorgoglio profondo.
Martinez guardò ed intese il frastuono d’un torrente.
Era il piccolo fiume di Ixtolucca che si precipitava in un abisso di cinquecento piedi.
A pochi passi sul torrente medesimo, era gettato un ponte di corde di agave, trattenuto alle