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— 120 — un dramma al messico |
— Non ne posso più! disse finalmente Josè affranto dalla stanchezza.
— Camminiamo, rispose Martinez con febbrile impazienza.
Alcuni scoppî di tuono echeggiarono poco stante nei crepacci del Popocatepelt.
— Che il diavolo mi confonda se mi raccapezzo fra questi sentieri perduti! esclamò Josè.
— Rialzati e camminiamo, rispose bruscamente Martinez.
Egli costrinse Josè a rimettersi in cammino incespicando.
— E non un essere umano per guidarci! mormorava il gabbiere.
— Tanto meglio, disse il luogotenente.
— Voi non sapete dunque che ogni anno vengono commessi migliaja di omicidî a Messico, e che i dintorni non sono sicuri?
— Tanto meglio, ripetè Martinez.
Goccioloni di pioggia scintillavano sui macigni illuminati dagli ultimi bagliori del cielo.
— Una volta valicate le vette che ci circondano, che cosa vedremo noi? domandò il luogotenente.
— Messico a mano manca, Puebla a dritta, rispose Josè, se avessimo a veder qualche cosa, ma non vedremo nulla; è troppo bujo.... dinanzi a noi sorgerà la montagna di Icctacihualt e nel burrone la via buona! Ma voglio essere dannato se vi arriveremo.
— Camminiamo.
Josè diceva il vero. L’altipiano del Messico è chiuso in uno immenso quadrato di montagne. È un vasto bacino ovale, lungo diciotto leghe, largo dodici e di sessanta leghe di circuito, circondato da alture, fra le quali si distinguono, al sud-ovest,