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— 119 — da cuernavaga a popocatepelt |
— Che idea infernale è stata quella di non pigliare la via solita! mormorava egli.
Speravano entrambi di trovare ad Aracopistla, villaggio interamente perduto nelle montagne, qualche mezzo di trasporto per terminare il loro viaggio; ma quale fu il loro dispetto non incontrandovi che il medesimo squallore, assoluta mancanza d’ogni cosa ed abitanti inospitali come a Cuernavaca! Pure bisognava arrivare.
Si rizzava allora dinanzi ad essi l’immenso cono del Popocatepelt, di tanta altezza che l’occhio si perdeva nelle nuvole, cercando la vetta della montagna. La via era d’un’aridità desolante. Da ogni parte precipizî profondi si scavavano fra i rialzi di terreno, ed i sentieri vertiginosi parevano oscillare sotto il passo dei viaggiatori. Per riconoscere la via dovettero arrampicarsi sopra una parte di questa montagna, alta cinquemila e quattrocento metri, che viene chiamata la Rupe fumante, e porta ancora le traccie di recenti espulsioni vulcaniche. Tenebrosi crepacci rigavano i suoi fianchi scoscesi. Dopo l’ultimo viaggio del gabbiere Josè, nuovi cataclismi avevano messo sottosopra queste solitudini che egli non poteva riconoscere. E però si perdeva egli in mezzo ai sentieri impraticabili, e si arrestava talvolta porgendo orecchio ai sordi rumori che correvano qua e là attraverso le fessure dell’enorme cono.
Già il sole declinava sensibilmente; grosse nuvole schiacciate contro il cielo rendevano l’atmosfera più oscura. Vi era minaccia di pioggia e di uragano, fenomeni frequenti in queste regioni in cui l’elevazione del terreno accelera l’evaporazione dell’acqua. Ogni specie di vegetazione era scomparsa su quelle rupi, la cui vetta si perde sotto le nevi eterne.