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da tasco a cuernavaca


— Pigliamo dunque la via più lunga, ma avviamoci! disse Martinez. Dove ci coricheremo stasera?

— Filando dodici nodi, a Cuernavaca, rispose il gabbiere.

I due Spagnuoli si recarono alla scuderia, fecero insellare i loro cavalli ed empirono le loro mochillas, specie di tasche che fanno parte della bardatura, di ciambelle di grano turco, melagrani e carne secca, perchè nelle montagne correvano rischio di non trovare un nutrimento sufficiente. Pagata la spesa, inforcarono le loro cavalcature e piegarono a dritta.

Per la prima volta videro la quercia, albero di buon augurio, ai piedi del quale si arrestano le esalazioni malsane degli altipiani inferiori. In queste pianure, situate a millecinquecento metri sopra il livello del mare, le produzioni importate dopo le conquiste si mescevano alla vegetazione indigena. Campi di biade si stendevano in quelle fertili oasi, dove crescono tutti i cereali europei. Gli alberi d’Asia e di Francia vi mescevano il loro fogliame. I fiori dell’Oriente smaltavano i tappeti di verdura, misti alle viole, ai garofani, alla verbena, alla pratellina delle zone temperate. Alcuni arbusti resinosi facevano qua e là la smorfia nel passaggio, e l’odorato sentiva le dolci emanazioni della vaniglia, protetta dall’ombra delle amiridi e dei liquidambar. Così i due avventurieri si sentivano a loro bell’agio sotto quella temperatura media di venti o ventidue gradi, comune nelle zone di Xalapa e di Chilpanzigo, che vennero comprese sotto la denominazione di terre temperate.

Frattanto Martinez ed il suo compagno s’innal-

8 — Un dramma ecc. Vol. IV.