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da cigualan a tasco

risalirono il corso. Non andò molto che le spire di fumo indicarono la presenza di indigeni, ed apparve la piccola città di Tutela-del-Rio. Ma avendo fretta di giungere a Tasco prima di notte, gli Spagnuoli la lasciarono dopo essersi riposati alcuni istanti.

La via diventava molto scoscesa; onde il passo era l’andatura più ordinaria delle loro cavalcature.

Qua e là apparvero sul fianco dei monti foreste di olivi. Notabili differenze si notarono allora nel terreno, nella temperatura e nella vegetazione.

Non tardò a scendere la notte. Martinez seguiva a pochi passi dî distanza la sua guida, Josè. Costui non si dirigeva senza stenti in mezzo alle fitte tenebre e cercava i sentieri praticabili, brontolando ora contro un ceppo che lo faceva incespicare, ora contro un ramo d’albero che gli sferzava la faccia e minacciava di spegnergli l’eccellente zigaro che fumava.

Il luogotenente lasciava che il suo cavallo seguisse quello del compagno. Vaghi rimorsi si agitavano in lui, ed egli non si rendeva conto della ossessione a cui era in preda.

La notte era scesa interamente. I viaggiatori affrettarono il passo, attraversarono senza arrestarsi i piccoli villaggi di Contepec e di Iguala, e giunsero alla città di Tasco.

Josè aveva detto il vero. Era una gran città a petto delle borgatelle che si erano lasciati alle spalle. Una specie d’albergo si apriva sulla via più larga. Dopo aver consegnato i loro cavalli ad uno stalliere, entrarono nella sala principale, dove era una lunga e stretta tavola imbandita.

Gli Spagnuoli vi si accomodarono l’uno in faccia all’altro e fecero un pasto che sarebbe stato