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— 105 — da acapulco a cigualan |
— Quattro o cinque, luogotenente! Una passeggiata! Ma al passo! Vedete bene che il terreno sale.
Infatti incominciavano sulla lunga pianura le prime ondulazioni delle montagne.
— I nostri cavalli non sono ferrati, insistè il gabbiere arrestandosi, ed il loro zoccolo si logora presto su queste rupi di granito!.... Ma non bisogna dir male di questo suolo!... Vi è dell’oro sotto, e perchè lo calpestiamo, non vuol già dire che lo disprezziamo!
I due viaggiatori erano giunti ad una breve altura, ombreggiata da palme a ventaglio, da nopali e salvie messicane. Ai loro piedi si stendeva una vasta pianura coltivata, e tutta la lussureggiante vegetazione delle terre calde si offriva agli occhi loro. A mano manca, una foresta di anacardi tagliava il paesaggio. Alberi del pepe eleganti dondolavano i loro rami flessibili ai soffi ardenti dell’oceano Pacifico. La campagna era irta di campi di canne da zucchero; qua e là crescevano i convolvoli o jalapa medicinale, il pimento colorato, le indigofere, il legno di campece e di guajaco. Tutti i prodotti variati della flora tropicale, dalie, menzelíe, elicanti tempestavano di varî colori questo terreno meraviglioso, che è il più fertile dell’Intendenza messicana.
Sì! questa natura non sembrava animarsi ai raggi ardenti che il sole versava a flotti; ma d’altra parte, sotto un calore insopportabile, i disgraziati abitanti si travagliavano nelle strette della febbre gialla! E perciò le campagne inanimate e deserte rimanevano senza movimento e senza rumore.
— Come si chiama il cono che s’innalza all’orizzonte innanzi a noi? chiese Martinez a Josè.