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la notte dal 5 al 6 ottobre

trovò ad un tratto in faccia a colui che aveva visto ad Ichim, a Tomsk, in faccia a colui la cui mano scellerata un istante più tardi doveva consegnare la città ai Tartari.

— Ivan Ogareff! esclamò essa.

Udendo pronunziare il suo nome, il miserabile fremette, poichè una volta noto il vero esser suo, tutti i suoi disegni fallivano. Una cosa sola gli rimaneva a fare: uccidere colei che poteva smascherarlo.

Ivan Ogareff si gettò contro Nadia; ma la giovinetta, con un coltello in mano, si addossò al muro, determinata a difendersi.

— Ivan Ogareff! gridò ancora Nadia, sapendo bene che questo nome detestato farebbe correre qualcuno in di lei ajuto.

— Vuoi tacere? disse il traditore.

— Ivan Ogareff! gridò una terza volta l’intrepida giovinetta, con voce fatta tuonante dall’odio.

Ebbro di furore, Ivan Ogareff trasse un pugnale dalla cintola, e si fece addosso a Nadia.

Era finita per lei, quando il miserabile, sollevato a un tratto da una forza irresistibile, ruzzolò a terra.

— Michele! esclamò Nadia.

Era Michele Strogoff.

Egli aveva inteso le grida di Nadia; guidato dalla sua voce, era giunto fino alla camera d’Ivan Ogareff ed era entrato dalla porta rimasta aperta.

— Non temer di nulla, Nadia, disse egli mettendosi fra lei ed Ivan Ogareff.

— Ah! esclamò la giovinetta, bada, fratello!... Il traditore è armato!....

Ivan Ogareff si era rialzato, e credendo di poterla far subito finita con un cieco, si precipitò sopra Michele Strogoff.