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la notte dal 5 al 6 ottobre

che se ne andavano alla deriva si squagliavano nel liquido igneo, come cera entro una fornace, e l’acqua evaporata fischiava nell’aria con romore assordante.

In quel momento medesimo cominciarono le schioppettate al nord ed al sud della città. Le batterie del campo dell’Angara tirarono senza riposo, e molte migliaja di Tartari si precipitarono all’assalto dei terrapieni. Le case dei margini, costrutte di legno, presero fuoco d’ogni parte. Un immenso bagliore dissipò le ombre della notte.

— Finalmente! disse Ivan Ogareff.

E poteva applaudirsi a buon diritto! La diversione ch’egli aveva immaginato era terribile. I difensori d’Irkutsk si vedevano tra l’attacco dei Tartari e i disastri dell’incendio. Suonarono le campane, e tutte le persone valide della popolazione corsero ai punti assaliti ed alle case divorate dal fuoco, che minacciava di comunicarsi a tutta la città.

La porta di Bolchaia era quasi libera. A malapena vi erano rimasti alcuni difensori, ed anzi, per ispirazione del traditore, e perchè l’avvenimento compiuto potesse spiegarsi altrimenti attribuendolo ad odî politici, questi pochi difensori erano stati scelti nel piccolo corpo degli esiliati.

Ivan Ogareff rientrò nella sua camera splendidamente illuminata dalle fiamme dell’Angara, che sorpassavano la balaustrata. Poi fece per uscire.

Ma aveva appena aperto la porta, quando una donna si precitava in questa camera colle vestimenta immolate, coi capelli scarmigliati.

— Sangarre! esclamò Ivan Ogareff, nel primo momento di meraviglia, non immaginando che potesse essere altri che la zingara.