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compagni di viaggio, ne discorrevano non senza circospezione.

Codesti viaggiatori, come la maggior parte di coloro che trasportava il convoglio, erano mercanti che si recavano alla celebre fiera di Nijni Novgorod, mondo necessariamente misto, composto di Ebrei, di Turchi, di Cosacchi, di Russi, di Georgiani, di Calmucchi e d’altri, ma quasi tutti parlanti la lingua nazionale.

Si discuteva dunque il pro ed il contro dei gravi avvenimenti che si compievano allora al di là dell’Ural, e quei mercanti parevano temere che il governo russo fosse trascinato ad atti restrittivi, sopratutto nelle provincie confinanti colle frontiere, atti di cui certamente il commercio avrebbe a soffrire.

Convien dirlo, quegli egoisti non consideravano la guerra, vale a dire la repressione della rivolta e la lotta contro la invasione, se non rispetto ai loro interessi minacciati. La presenza di un semplice soldato vestito della sua uniforme — e si sa quanto grande è in Russia l’importanza dell’uniforme — avrebbe bastato a trattenere le lingue di quei mercanti. Ma nello scompartimento occupato da Michele Strogoff nulla poteva far sospettare la presenza del militare, ed il corriere dello czar, votato all’incognito, non era uomo da tradirsi.

Egli dunque ascoltava.

— Si assicura che i tè di carovana sono in rialzo, diceva un Persiano riconoscibile al suo berrettone foderato d’astrakan, ed alla sua veste bruna a larghe pieghe, logora dall’uso.

— Oh! i tè non hanno nulla a temere pel ribasso, rispose un vecchio Ebreo dalla faccia in-