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un corriere dello czar

teva rassicurare Wassili Fédor. Sebbene Nadia avesse passata la frontiera siberiana nelle circostanze che sono note, Wassili Fédor, ravvicinando la data in cui sua figlia si trovava a Nijni-Novgorod, e l’altra del decreto che vietava d’uscirne, ne avrebbe, senza dubbio, argomentato che Nadia non aveva potuto essere esposta ai pericoli dell’invasione, e che essa era ancora, mal suo grado, sul territorio europeo dell’impero.

Ivan Ogareff, obbediente alla sua natura, da uomo che più non sapevano commuovere le sofferenze degli altri, poteva dire questa parola...

E non la disse.

Wassili Fédor si ritrasse col cuore affranto. Dopo quel colloquio, l’ultima sua speranza era svanita.

Nei due giorni che seguirono, 3 e 4 ottobre, il gran duca fece venire più volte il supposto Michele Strogoff, e gli fece ripetere tutto quanto egli aveva inteso nel gabinetto imperiale del Palazzo Nuovo. Ivan Ogareff, preparato a tutte le domande, rispose senza mai esitare. Egli non celò, di proposito, che il governo dello czar era stato assolutamente sorpreso dall’invasione, che la sommossa era stata preparata nella massima segretezza, che i Tartari erano già padroni della linea dell’Obi, quando giunsero le notizie a Mosca, e, finalmente, che nulla era pronto nelle provincie russe per gettare in Siberia le truppe necessarie a respingere gl’invasori.

Poi, Ivan Ogareff, interamente libero de’ suoi movimenti, cominciò a studiare Irkutsk, lo stato delle sue fortificazioni, i loro punti deboli, affine di approfittare più tardi delle proprie osservazioni, caso mai qualche circostanza gli impedisse di con-