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irkutsk


— Da due anni.

— E la sua condotta?

— La sua condotta, rispose il mastro di polizia, è quella d’un uomo soggetto alle leggi speciali degli esiliati.

— Generale, rispose il gran duca, compiacetevi di presentarmelo immediatamente.

Gli ordini del gran duca furono eseguiti, e, meno di mezz’ora dopo, Wassili Fédor veniva introdotto alla sua presenza.

Era uomo sui quarant’anni al più, alto, dalla faccia severa e mesta. Si sentiva che tutta la sua vita si compendiava in questa parola: «la lotta,» e che egli aveva lottato e sofferto. I suoi lineamenti ricordavano singolarmente quelli di sua figlia Nadia Fédor.

Più d’ogni altro, l’invasione tartara l’aveva colpito nella sua più cara affezione, ruinando la suprema speranza d’un padre esiliato ad ottomila verste dalla sua città natale. Una lettera gli aveva appreso la morte di sua moglie, ed al medesimo tempo la partenza di sua figlia, la quale aveva ottenuto dal governo la facoltà di raggiungerlo in Irkutsk.

Nadia aveva dovuto lasciar Riga il 10 luglio; l’invasione era avvenuta il 15. Se a quel tempo Nadia aveva passato la frontiera, che cosa era avvenuto di lei in mezzo agli invasori? Si capisce come il disgraziato padre fosse divorato dall’inquietudine, poichè da quel tempo egli non aveva più avuto notizie della figliuola.

Wassili Fédor, in presenza del gran duca, s’inchinò ed attese d’essere interrogato.

— Wassili Fédor, gli disse il gran duca, i tuoi compagni d’esilio hanno chiesto di formare un