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— 40 — michele strogoff |
dall’est ed a respingere le fiamme verso la mancina. Poteva dunque darsi che i fuggitivi scampassero al nuovo pericolo.
Infatti la borgata in fiamme fu finalmente lasciata indietro. A poco a poco scemò il bagliore dell’incendio, si affievolì il crepitìo, e gli ultimi bagliori sparvero al di là delle alte ripe che si ergevano ad un gomito dell’Angara.
Era circa la mezzanotte. L’ombra, ridivenuta fitta, proteggeva un’altra volta la zattera. I Tartari erano sempre là, ed andavano e venivano sulle due sponde. Non si vedevano, ma era facile udirli. Brillavano straordinariamente i fuochi dei posti avanzati.
Era dunque necessario manovrar con maggior precisione in mezzo ai ghiacci che si facevano più fitti.
Il vecchio marinajo s’alzò, ed i mujik presero i loro ganci. Tutti avevano il loro da fare, chè il guidar la zattera diveniva sempre più difficile, sendo che il letto del fiume si ostruiva a vista d’occhio.
Michele Strogoff si era spinto fino a prua.
Alcide Jolivet l’aveva seguito.
Entrambi ascoltavano ciò che dicevano il vecchio marinajo ed i suoi uomini.
— Bada a dritta.
— Ecco i ghiacci che vengono da mancina.
— Tienti discosto col gancio.
— Fra un’ora saremo arrestati!...
— Se Dio lo vuole! rispose il wecchio marinajo. Contro il suo volere non v’è nulla da fare.
— Intendete? disse Alcide Jolivet.
— Sì, rispose Michele Strogoff, ma Dio è con noi!