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fra due rive

prima passato sulle montagne dell’est, tappezzate di neve, era proprio mordente.

Michele Strogoff e Nadia, collocati a poppa, sopportavano senza lamentarsi questa nuova pena. Alcide Jolivet ed Harry Blount, che stavano loro vicini, resistevano alla meglio ai primi assalti dell’inverno siberiano. Nissuno più cianciava, nemmeno a bassa voce. La situazione d’altra parte li assorbiva per intero. Ad ogni istante poteva accadere un pericolo od anche una catastrofe da cui non sarebbero usciti incolumi.

Per un uomo, che faceva conto di toccar presto la sua meta, Michele Strogoff pareva singolarmente tranquillo. D’altra parte, nelle più gravi congiunture, l’energia non l’aveva mai abbandonato. Già egli intravedeva il momento in cui avrebbe potuto pensare a sua madre, a Nadia, a sè medesimo. Non temeva che un ultimo contrasto, ed era che la zattera venisse assolutamente arrestata dai ghiacci prima di giungere ad Irkutsk. Egli non pensava che a questo: tentare qualche supremo colpo d’audacia, se fosse necessario.

Nadia, ristorata dalle poche ore di riposo, aveva ritrovato quell’energia fisica che la miseria aveva potuto spezzare qualche volta, senza però mai far tentennare la sua energia morale. Essa pensava che se Michele Strogoff avesse a fare un nuovo sforzo per riuscire nel suo intento, doveva essere pronta a guidarlo: ma nel medesimo tempo che veniva accostandosi ad Irkutsk, si disegnava nel suo spirito il padre suo. Lo vedeva nella città assediata, lungi da quelli che lo amavano, ma — di questo non dubitava — lottante contro gl’invasori con tutto lo slancio del suo patriotti-

3 — Michele Strogoff. Vol. IV.