Pagina:Michele Strogoff.djvu/370


— 26 —

michele strogoff

battelli e di barche che sverna solitamente nel loro porto, e, muniti di tutto quanto avevano potuto portar seco, eransi rifugiati a tempo nella capitale della Siberia orientale.

Il vecchio marinajo non s’aspettava dunque di raccogliere nuovi fuggitivi al porto di Livenitchnaja, eppure al momento in cui la zattera si accostava, due passeggieri, uscendo da una casa deserta, corsero sull’argine.

Nadia, seduta a poppa, guardava con occhio sbadato.

Per poco non le sfuggì un grido. Prese essa la mano di Michele Strogoff, che a quell’atto rialzò il capo.

— Che hai, Nadia? domandò egli.

— I nostri due compagni di viaggio, Michele.

— Quel Francese e quell’Inglese che abbiamo incontrato nelle gole dell’Ural?

— Sì.

Michele Strogoff, sussultò, perchè il severo incognito da cui non si voleva dipartire rischiava d’essere svelato.

Infatti non era più Nicola Korpanoff che Alcide Jolivet ed Harry Blount vedevano ora in lui, ma bensì il vero Michele Strogoff, corriere dello czar. I due giornalisti l’avevano già incontrato due volte dopo la loro separazione avvenuta alla posta di Ichim, la prima nel campo di Zabédiero, quando egli con un colpo di knut sfregiò la faccia di Ivan Ogareff, la seconda a Tomsk, quando fu condannato dall’Emiro. Sapevano dunque che pensare di lui e della sua vera qualità.

Michele Strogoff prese subito il suo partito.

— Nadia, disse egli, appena quel Francese e quell’Inglese saranno imbarcati, pregali di venire a me.