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— 112 — michele strogoff |
Bisognava per altro proseguire su quella via fino a che fosse manifestamente possibile di farlo, senza cadere nelle mani degl’invasori. L’itinerario non fu dunque modificato, e pure devastazioni e ruine si accumulavano ad ogni borgata. Tutti quei villaggi, i cui nomi indicano e furono fondati da esiliati polacchi, erano stati in balìa degli orrori del saccheggio e dell’incendio. Il sangue delle vittime non era ancora interamente coagulato. Impossibile d’altra parte conoscere in quali condizioni i funesti avvenimenti s’erano compiuti. Non rimaneva anima viva per dirlo.
Quel giorno, verso le quattro pomeridiane, Nicola vide all’orizzonte gli alti campanili delle chiese di Nijni-Udinsk, coronate di grosse volute di vapore, che non doveano essere nuvole.
Nicola e Nadia guardavano e comunicavano a Michele Strogoff il risultato delle loro osservazioni. Bisognava pigliare un partito. Se la città era abbandonata, si poteva attraversarla senza rischi, ma se, per un movimento inesplicabile, i Tartari l’occupavano, ad ogni costo bisognava farne il giro.
— Inoltriamoci prudentemente, disse Michele Strogoff, ma inoltriamoci.
Fu percorsa un’altra versta.
- Non sono nuvole, è fumo! esclamò Nadia. Fratello, s’incendia la città!
Era infatti palese. Bagliori fuligginosi apparivano in mezzo ai vapori. Questi turbini diventavano sempre più fitti e s’innalzavano al cielo. D’altra parte, nessuno che fuggisse. Era probabile che gli incendiarî avessero trovata la città abbandonata e vi avessero appiccato il fuoco. Ma erano Tartari quelli che così agivano, od erano Russi che obbedivano agli ordini del gran duca?