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una lepre che attraversa la strada

si fermò al borgo di Aslalevsk, deserto anch’esso come tutta la regione circostante.

Colà, sulla soglia d’una casa, Nadia trovò due di quei coltelli a lama solida che servono ai cacciatori siberiani. Essa ne consegnò uno a Michele Strogoff, che lo nascose sotto le sue vestimenta, e serbò l’altro per sè. La kibitka non era più che a settantacinque verste da Nijni-Udinsk.

Nicola, durante queste due giornate, non aveva potuto riprendere il suo buon umore consueto. Il brutto pronostico lo teneva impensierito più che che non si potrebbe credere; e lui, che per lo innanzi non era mai stato un’ora senza parlare, cadeva talora in lunghi silenzî, da cui Nadia stentava a toglierlo. Tali sintomi erano veramente quelli d’uno spirito colpito, e ciò si spiega in questi uomini appartenenti ad una razza, i cui antenati furono i fondatori d’una mitologia paurosa.

Cominciando da Ekaterinburgo, la via d’Irkutsk segue quasi parallelamente il cinquantacinquesimo grado di latitudine, ma uscendo da Biriusink essa piega francamente verso il sud-est, in guisa da tagliare di sbieco il centesimo meridiano. Essa prende la via più breve per giungere alla capitale della Siberia orientale, valicando le ultime balze dei monti Sayansk, i quali non sono che una derivazione della gran catena degli Altai.

La kibitka correva dunque su quella strada. Sì, correva! Si sentiva bene che Nicola non pensava più a risparmiare il suo cavallo, e che egli pure oramai aveva fretta d’arrivare. Non ostante tutta la sua rassegnazione un po’ fatalistica, egli non si crederebbe più al sicuro se non nelle mura d’Irkutsk. Molti Russi avrebbero pensato come lui, e più d’uno, voltando le redini al cavallo, sarebbe