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grosso quanto i suoi congeneri dei mari glaciali. Pietro Strogoff aveva uccisi più di trentanove orsi, il che è quanto dire quaranta - e si sa, perchè lo dicono le leggende della Russia, quanti cacciatori furono fortunati fino al trentanovesimo orso, ma lasciarono la pelle al quarantesimo.
Pietro Strogoff aveva dunque passato il numero fatale senza aver neppure ricevuto una graffiatura. Quind’innanzi il suo figlio Michele, che aveva undici anni, non tralasciò più di accompagnarlo nelle sue caccie, portando la «ragatina» vale a dire la forca, per venire in ajuto del babbo, armato solo di coltello. A quattordici anni, Michele Strogoff, aveva ucciso il suo primo orso da solo — il che era un nonnulla — ma dopo averlo scuojato, aveva trascinato la pelle del gigantesco animale fino alla casa paterna, distante molte verste, — e ciò indicava nel fanciullo una vigoría poco comune.
Codesta vita gli fece del bene; giunto all’età dell’uomo fatto, Michele era capace di sopportare checchessia: freddo, caldo, fame, sete, fatica. Era come il Yakute delle regioni settentrionali, un uomo di ferro. Sapeva starsene ventiquattr’ore senza mangiare, dieci notti senza dormire, e farsi un riparo in mezzo alle steppe, là dove altri si sarebbe assiderato all’aria aperta. Dotato di sensi squisitissimi, guidato da un istinto di Delaware in mezzo alla bianca pianura, quando la nebbia velava l’orizzonte, se anche si trovava nel paese delle alte latitudini, dove la notte polare si prolunga per molti giorni, ritrovava il suo sentiero colà, ove altri non avrebbe potuto dirigere i suoi passi. Tutti i segreti del padre suo gli erano noti. Aveva imparato a guidarsi dietro indizi quasi im-
3 — Michele Strogoff. Vol. I. |