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— 86 — michele strogoff |
— Molto male, rispose Michele Strogoff volgendosi come se avesse potuto vedere Nicola.
— E non hai pianto?
— Sì.
— Anch’io avrei pianto. Pensare di non veder più le persone amate... Ma esse almeno ci vedono, ed è forse una consolazione!
— Sì, forse. — Dimmi, amico, domandò Michele Strogoff, non m’hai tu veduto in qualche parte?
— Visto te, babbo mio? No mai.
— Gli è che il suono della tua voce non m’è nuovo.
— Vedete un po’! rispose Nicola sorridendo. Egli conosce il suono della mia voce! Forse tu mi domandi questo per sapere donde vengo. Te lo voglio dire. Vengo da Kolyvan.
— Da Kolyvan? disse Michele Strogoff. Ma allora è là che t’ho incontrato; tu eri al posto telegrafico?
— Può essere, rispose Nicola. Io stava là. Ero l’impiegato incaricato delle trasmissioni.
— E sei rimasto al tuo posto fino all’ultimo momento?
— È segnatamente in quel momento che bisogna esserci,
— Era il giorno in cui un Inglese ed un Francese si contendevano, coi rubli in mano, il posto al tuo sportello, ed in cui l’inglese telegrafò i primi versetti della Bibbia.
— Babbo mio, questo può essere, ma non me lo ricordo.
— Come! non te lo ricordi?
— Io non leggo mai i dispacci che mando. Siccome il mio dovere è di dimenticarli, la più spiccia è di non conoscerli.