Pagina:Michele Strogoff.djvu/302


— 78 —

michele strogoff

Non era Nadia che teneva la sua mano, fu lui che tenne quella della compagna tutta la notte; ma in grazia di questa mano che lo guidava unicamente co’ suoi tremiti egli aveva camminato del suo passo solito.

Semilowskoe era quasi del tutto abbandonata; gli abitanti, temendo i Tartari, se n’erano fuggiti nella provincia di Yeniseisk. Soltanto due o tre case erano abitate. Tutto ciò che la città conteneva d’utile o di prezioso era stato portato via sopra carriole.

Pure, Nadia era nella necessità di far colà una fermata di poche ore. Ad entrambi occorreva cibo e riposo.

La giovinetta condusse dunque il suo compagno all’estremità della borgata. Quivi era una casa vuota coll’uscio aperto. Vi entrarono. Una meschina panca di legno era nel mezzo della camera, presso a quell’alta stufa che si trova in tutte le abitazioni siberiane. Vi si sedettero.

Nadia guardò allora ben in faccia il suo compagno cieco, come ella non l’aveva mai guardato finora. Vi era più che riconoscenza, più che pietà nel suo sguardo. Se Michele Strogoff avesse potuto vederla, avrebbe letto in quell’occhiata desolata l’espressione d’una tenerezza infinita.

Le palpebre del cieco, arrossate dalla lama infuocata, coprivano a mezzo gli occhi suoi assolutamente arsi. La sclerotica era leggermente piegata e come accartocciata, la pupilla singolarmente ingrandita; l’iride pareva d’un azzurro più carico che non fosse prima; le ciglia e le sopracciglia erano in parte abbruciate. Ma nell’aspetto, lo sguardo penetrante del giovinotto non pareva aver subíto alcun mutamento. S’egli più non ci vedeva,