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guarda, dunque, guarda!

dando Michele Strogoff. Quel valoroso soldato avrebbe meritato di cadere sul campo di battaglia!

— Possiamo noi fare qualche cosa per salvarlo? disse Harry Blount.

— Non possiamo far nulla.

I due giornalisti si ricordavano la condotta generosa di Michele Strogoff verso di loro. Sapevano ora per quali motivi, schiavo del suo dovere, egli avesse dovuto passare in mezzo a quei Tartari, ai quali è ignota ogni pietà; essi non potevano far nulla per lui!

Poco desiderosi d’assistere al supplizio riserbato al disgraziato, rientrarono dunque nella città.

Un’ora più tardi correvano sulla strada d’Irkutsk, ed era fra i Russi che volevano tentare di seguire quella che Alcide Jolivet chiamava anticipatamente «la campagna della rivincita.»

Frattanto Michele Strogoff stava ritto, collo sguardo altero per l’Emiro, sprezzante per Ivan Ogareff. Egli s’aspettava di morire è nondimeno avrebbero cercato invano in lui un sintomo di debolezza.

Gli spettatori, rimasti intorno alla piazza al par dello stato maggiore di Féofar-Kan, pei quali questo supplizio non era che un’attrattiva di più, aspettavano che l’esecuzione fosse compita. Quetata la loro curiosità, tutta quell’orda selvaggia se ne andrebbe a tuffarsi nell’ebbrezza.

L’Emiro fece un gesto. Michele Strogoff, spinto dalle guardie, s’accostò alla terrazza, ed allora, in quella lingua tartara ch’egli conosceva, Féofar-Kan gli disse:

— Tu sei venuto per vedere, spia dei Russi. Tu hai veduto per l’ultima volta; fra un istante gli occhi tuoi saranno chiusi per sempre alla luce!