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michele strogoff

gruppi si agitassero in mezzo ad un fuoco d’artificio. Per certi rispetti, quel divertimento ricordava la cibistica degli antichi, specie di danza militare, in cui i corifei manovravano in mezzo a punte di spada e di pugnali, e può darsi che la tradizione ne sia stata tramandata ai popoli dell’Asia centrale; ma questa cibistica tartara era fatta ancor più bizzarra da quei fuochi colorati che serpeggiavano sopra le ballerine, le cui vesti parevano tutte tempestate di punte di fuoco; era come un caleidoscopio di scintille, le cui combinazioni variavano all’infinito ad ogni movenza delle danzatrici.

Per quanto avvezzo dovesse essere un giornalista parigino a simili effetti teatrali, Alcide Jolivet, non potè trattenere un lieve movimento di testa, che fra il boulevard Montmartre e la Maddalena avrebbe significato:

— Non c’è male!

Poi, ad un tratto, come ad un segnale, tutti i fuochi della fantasia si spensero, cessarono le danze, sparvero le danzatrici; la cerimonia era terminata, e le torcie soltanto rischiaravano quell’ altipiano che alcuni istanti prima era pieno di luce.

A un cenno dell’Emiro, Michele Strogoff fu condotto in mezzo alla piazza.

— Blount, disse Alcide Jolivet al suo compagno, ci tenete voi a vedere la fine di tutto ciò?

— Niente affatto, rispose Harry Blount.

— I vostri lettori del Daily-Telegraph non sono ghiotti, spero, dei particolari di un’esecuzione alla moda tartara?

— Niente di più di vostra cugina.

— Povero giovane! aggiunse Alcide Jolivet guar-