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michele strogoff

dell’Egitto, dell’Italia e della Spagna. Esse s’animavano al suono di catube ed al mugolío delle daire, specie di tamburi che si suonano graffiandone la pelle stridente.

Sangarre, tenendo in mano uno di questi daire, eccitava quel drappello di veri coribanti.

Allora si fece innanzi uno zingaro di quindici anni al più. Egli teneva in mano un dutar e ne faceva vibrare le due corde colle unghie. Cantò. Durante la strofa di questa canzone d’un ritmo molto bizzarro, una danzatrice venne a mettersi al suo fianco, e stette immobile ascoltando. Ma ogni volta che il ritornello usciva dalle labbra del giovine cantore, essa ripigliava la sua danza interrotta agitando il daire, e stordendo il cantore coi suoi sonagli.

Poi, dopo l’ultima strofa, le ballerine allacciarono lo zingaro nelle mille spire delle loro danze.

Allora una pioggia di monete d’oro cadde dalle mani dell’Emiro, de’ suoi alleati e dei loro uffiziali d’ogni grado, ed al rumore delle monete che picchiavano sulle catube delle danzatrici, si mescevano ancora gli ultimi mormorii delle dutar e dei tamburelli.

— Prodighi come ladri! disse Alcide Jolivet all’orecchio del suo compagno.

Ed era infatti il denaro rubato che cadeva a fiotti, giacchè insieme coi tomani e cogli zecchini tartari, piovevano pure i ducati ed i rubli moscoviti.

Poi si fece un istante di silenzio, e la voce dell’esecutore, appoggiando la sua mano sulla spalla di Michele Strogoff, ripetè queste parole, che l’insistenza rendeva sempre più sinistra:

— Guarda, dunque, guarda!