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— 67 — guarda, dunque, guarda! |
Quando questo primo divertimento fu compiuto, s’udì una voce grave che diceva:
— Guarda, dunque, guarda!
L’uomo che ripeteva le parole dell’Emiro, un tartaro di alta statura, era l’esecutore delle sentenze di Féofar-Kan. Egli s’era messo dietro a Michele Strogoff e teneva in mano una sciabola a larga lama curva, una di quelle lame damascate che furono temprate da celebri armajuoli di Karschi o d’Hissar.
Accanto a lui era un tripode, e sovr’esso un braciere in cui ardevano senza mandar fumo alcuni carboni. Il vapore leggiero che li coronava era dovuto unicamente all’incenerazione d’una sostanza resinosa ed aromatica, mista d’olibano e di belzuino, che veniva gettata sulla loro superficie.
Frattanto, alle Persiane era succeduto un altro gruppo di danzatrici, di razza differentissima, che Michele Strogoff riconobbe subito.
E bisogna credere che i due giornalisti anche le riconoscessero, perchè Harry Blount disse al suo confratello:
— To’, sono le zingare di Nijni-Novgorod!
— Esse appunto! esclamò Alcide Jolivet. Io credo che gli occhi debbano fruttare a quelle spie meglio delle gambe!
Facendone degli agenti al servizio dell’Emiro, Alcide Jolivet, come è noto, non s’ingannava.
In prima fila, fra quelle zingare, era Sangarre, superba nel suo costume strano e pittoresco, che dava maggior spicco alla sua bellezza.
Sangarre non danzò, ma s’atteggiò come una mima in mezzo alle sue ballerine, i cui passi fantastici avevano qualche cosa di tutti i paesi che la loro razza percorre in Europa, della Boemia,