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michele strogoff

Ogareff si presentò dinanzi all’Emiro, ed aspettarono, non senza un po’ d’impazienza che incominciasse la festa.

— Vedete, mio caro Blount, diceva Alcide Jolivet, siamo venuti troppo presto, come buoni borghesi che vogliono spender bene il loro danaro. Tutto questo non è che un prologo, e sarebbe stato meglio giungere qui all’ora del ballo.

— Qual ballo? domandò Harry Blount.

— Il ballo obbligatorio, diancine! Ma ecco che si tira su il sipario.

Alcide Jolivet parlava come se fosse stato in teatro, e cavando il cannocchiale dal suo astuccio, s’accinse ad osservare, da uomo che se n’intende, le prime parti della commedia di Féofar-Kan.

Ma una penosa cerimonia doveva precedere le feste.

Infatti il trionfo del vincitore non poteva essere pieno senza l’umiliazione pubblica dei vinti, ed è per ciò che molte centinaja di prigionieri furono condotti sotto lo staffile dei soldati. Erano destinati a sfilare davanti a Féofar-Kan ed ai suoi alleati prima di essere stivati coi loro compagni nelle prigioni della città.

Vi si vedeva in prima linea Michele Strogoff. Conforme agli ordini d’Ivan Ogareff, egli era specialmente scortato da un drappello di soldati. Anche sua madre e Nadia erano là.

La vecchia siberiana, sempre energica quando non si trattava che di lei, aveva la faccia orribilmente pallida. Essa s’aspettava qualche scena terribile. Non senza una ragione, suo figlio era stato tratto dinanzi all’Emiro, e perciò essa tremava per lui. Ivan Ogareff, percosso pubblicamente dallo knut levato sopra di lei, non era