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michele strogoff

abbagliante, coperta appena d’un velo di seta che di dietro s’accomodava ad un berretto tempestato di gemme di gran valore. Sotto la sua gonna di seta azzurra a larghe striscie più cariche, cadeva il zirdjameh di garza di seta, e sopra la cintola il pirahn, camicia del medesimo tessuto che si foggiava graziosamente, risalendo verso il collo. Ma, dalla testa fino ai piedi, che eran calzati di pantofole persiane, era tanta la profusione di giojelli, di toman d’oro infilati in fili d’argento, rosarî di turchesi, di firuzehs delle celebri miniere di Elburz, di collane di cornaline, d’agate, di smeraldi, di opale e di zaffiri, che il suo busto e la sua gonna parevano tessuti di pietre preziose. Quanto alle migliaja di diamanti che le scintillavano al collo, alle mani, alla cintola, ai piedi, un milione di rubli non ne avrebbero pagato il valore.

L’Emiro ed i kani posero piede a terra, al par dei dignitari che facevano loro corteo. Tutti presero posto sopra una magnifica tenda rizzata nel centro della prima terrazza. Dinanzi alla tenda era, come sempre, il Corano posato sopra la tavola sacra.

Il luogotenente di Féofar non si fece aspettare, e prima delle cinque le chiassose fanfare ne annunziarono l’arrivo.

Ivan Ogareff, — lo Sfregiato, come già si cominciava a chiamarlo, — vestito questa volta dell’uniforme d’uffiziale tartaro, giunse a cavallo dinanzi alla tenda dell’Emiro. Egli era accompagnato da una parte dei soldati del campo di Zabédiero. Le turbe si schierarono ai lati della piazza, in mezzo alla quale più non rimase che lo spazio destinato ai divertimenti. Si vedeva una larga ferita che tagliava obliquamente la faccia del traditore.