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un’attitudine di alcide jolivet

della freddezza altera di Marfa Strogoff. Nadia — poichè era lei — aveva potuto così, senza conoscerla, rendere alla madre le cure che essa medesima aveva ricevute dal figlio. La sua istintiva bontà l’aveva inspirata doppiamente bene, poichè consacrandosi a servirla, Nadia assicurava alla propria giovinezza ed alla propria avvenenza la protezione dell’età della vecchia prigioniera. In mezzo a quella folla di disgraziati, inaspriti dalle sofferenze, quel gruppo silenzioso di due donne, l’una delle quali sembrava la nonna, l’altra la nipotina, comandava a tutti una specie di rispetto.

Nadia, dopo d’essere stata rapita dagli esploratori tartari sulle barche dell’Irtyche, era stata condotta ad Omsk. Trattenuta prigioniera nella città, essa divise la sorte di tutti coloro che la colonna di Ivan Ogareff aveva fatti prigionieri fin’allora, e perciò quella di Marfa Strogoff.

Se Nadia fosse stata meno energica, avrebbe soggiaciuto al doppio colpo della sciagura. L’interruzione del suo viaggio, la morte di Michele Strogoff l’avevano inasprita e messa alla disperazione. Allontanata forse per sempre da suo padre, dopo tanti sforzi già fortunati che l’avevano ravvicinata a lui, e per colmo di dolore separata dall’intrepido compagno che Dio medesimo pareva aver messo sulla sua strada per condurla alla meta, essa aveva perduto in un istante ogni cosa. L’immagine di Michele Strogoff ferito sotto gli occhi suoi da un colpo di lancia, e scomparso nelle acque dell’Irtyche, più non abbandonava il suo pensiero. Un uomo simile aveva proprio potuto morire in quel modo? E per chi Dio riserbava i suoi miracoli, se quest’uomo giusto e spinto, senza dubbio, da un nobile disegno aveva potuto essere così mi-