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michele strogoff


Fu alle due dopo il mezzodì di quel giorno 12 agosto, con una temperatura molto alta e sotto un cielo senza nuvole, che il topschi-baschi diede l’ordine della partenza.

Alcide Jolivet ed Harry Blount, dopo d’aver comperati dei cavalli, avevano già presa la via di Tomsk, dove la logica degli avvenimenti doveva riunire i principali personaggi di questa storia.

Fra i prigionieri condotti da Ivan Ogareff al campo tartaro, vedevasi una povera vecchia che la sua medesima taciturnità sembrava mettere in disparte in mezzo a quelle che dividevano la sua sorte. Non un gemito usciva dalle sue labbra. La si sarebbe detta la statua del dolore. Questa donna, più strettamente guardata dell’altre, era, senza ch’ella sembrasse accorgersene o darsene pensiero, tenuta d’occhio dalla zingara Sangarre. Non ostante l’età sua, essa aveva dovuto seguire a piedi il convoglio dei prigionieri, senza che alcun sollievo venisse dato alle sue miserie.

Pure, qualche angelo tutelare aveva collocato al suo fianco un essere caritatevole, fatto per comprenderla ed assisterla. Fra i compagni di sventura, una giovinetta, notevole per la sua bellezza e per la sua impassibilità e fermezza, sembrava essersi presa il còmpito di vegliare sovr’essa. Nessuna parola era stata scambiata fra le due prigioniere, ma la giovinetta si trovava sempre accanto alla vecchia, quando il suo soccorso poteva esserle utile. Costei non aveva da principio accettato senza diffidenza le cure silenziose di quell’incognita. A poco a poco nondimeno l’evidente schiettezza dello sguardo della fanciulla, la sua riserbatezza e la misteriosa simpatia che una comunanza di dolori pone fra eguali sciagure, avevano trionfato