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un’attitudine di alcide jolivet


Ecco il lato spiacevole della presenza d’Ivan Ogareff al campo. Per altro una conseguenza lieta del suo arrivo fu l’ordine dato di levare il campo il giorno medesimo e di trasportare a Tomsk il quartier generale.

Era il compimento del più vivo desiderio di Michele Strogoff. Sua intenzione, com’è noto, era di giungere a Tomsk, confuso fra gli altri prigionieri, vale a dire senza cadere fra le mani degli esploratori che formicolavano in questa città importante. Pure, a causa dell’arrivo d’Ivan Ogareff, e per timore di venire da lui riconosciuto, egli dovette chiedersi se non convenisse rinunziare a quel primo disegno e tentar di svignarsela durante il viaggio.

Michele Strogoff stava, senza dubbio, per attenersi a quest’ultimo partito, quando apprese che Féofar-Kan ed Ivan Ogareff erano già partiti per la città alla testa di qualche migliajo di cavalieri.

— Aspetterò dunque, pensò egli, ammenochè non si offra qualche occasione eccezionale di fuggire. Le cattive probabilità sono molto al di qua di Tomsk, mentre al di là le buone cresceranno, perchè avrò in poche ore oltrepassati i posti tartari più avanzati nell’est. Ancora tre giorni di pazienza, e Dio mi venga in aiuto!

Era infatti un viaggio di tre giorni che i prigionieri sotto una sorveglianza d’un numeroso drappello di Tartari dovevano fare attraverso la steppa. Infatti, centocinquanta verste separavano il campo dalla città. Viaggio facile per i soldati dell’Emiro, che non mancavano di nulla, ma penoso per disgraziati indeboliti dalle privazioni. Più d’un cadavere doveva segnare quella parte della strada siberiana!