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michele strogoff

spose freddamente agli omaggi degli alti funzionarî mandati incontro a lui. Egli era vestito in modo semplicissimo, ma, per una specie di sfida impudente, indossava ancora l’uniforme d’ufficiale russo.

Al momento in cui egli allentava le redini al cavallo per valicare il recinto del campo, Sangarre, passando fra i cavalieri del corteo, s’accostò a lui e stette immobile.

— Nulla? domandò Ivan Ogareff.

— Nulla.

— Abbi pazienza.

— È vicina l’ora in cui costringerai la vecchia a parlare?

— E vicina, Sangarre.

— E quando parlerà la vecchia?

— Quando saremo a Tomsk.

— E quando vi saremo?

— Fra tre giorni.

I grandi occhi neri di Sangarre mandarono un lampo, poi essa si ritrasse con passo tranquillo.

Ivan Ogareff strinse i fianchi del suo cavallo e, seguíto dal suo stato maggiore d’uffiziali tartari, si diresse verso la tenda dell’Emiro.

Féofar-Kan aspettava il suo luogotenente. Il consiglio, composto del portatore del sigillo reale, del kodja e d’alcuni alti funzionarî, s’era accomodato sotto la tenda.

Ivan Ogareff scese da cavallo, entrò, e si trovò dinanzi all’Emiro.

Féofar-Kan era uomo sulla quarantina, d’alta statura, dalla faccia pallida, dagli occhi tristi, dalla fisonomia truce. Una barba nera scendeva sul suo petto. Col suo costume di guerra, cotta a maglie d’oro e d’argento, tracolla scintillante