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un’attitudine di alcide jolivet

famiglia, aveva voluto mettere la sua vita vagabonda a servizio degli invasori che Ivan Ogareff doveva gettare sulla Siberia. Alla prodigiosa astuzia propria della sua razza, essa aggiungeva una truce energia che non conosceva nè perdono nè pietà. Era una selvaggia degna di spartire il wigwam di un Apaco o la capanna d’un Andamiano.

Dacchè era arrivata ad Omsk, dove aveva raggiunto Ivan Ogareff, coi suoi zingari, Sangarre non s’era più separata da lui. Le era nota la circostanza che aveva messo di fronte Michele e Marfa Strogoff. I timori d’Ivan Ogareff, relativi al passaggio d’un corriere dello czar, essa li conosceva e li divideva, e sarebbe stata capace di torturare Marfa Strogoff prigioniera, con tutta la raffinatezza d’un Indiano delle praterie, per strapparle il suo secreto. Ma non era venuta l’ora in cui Ivan Ogareff voleva far parlare la vecchia siberiana. Sangarre doveva aspettare, ed aspettava senza perder di vista colei che teneva d’occhio di nascosto, spiandone ogni minimo gesto, ogni minima parola, osservandola dì e notte, cercando d’udire la parola figlio fuggita dalle sue labbra; ma finora non era riuscita; era stata sempre tenuta in iscacco dalla inalterabile impassibilità di Marfa Strogoff.

Frattanto, al primo suonar delle fanfare, il gran mastro dell’artiglieria tartara ed il capo delle scuderie dell’Emiro, seguíti da un brillante corteo di cavalieri usbechi, erano mossi incontro ad Ivan Ogareff.

Quando furono giunti al suo cospetto, gli fecero grandi onori e lo invitarono ad accompagnarli nella tenda di Féofar-Kan.

Ivan Ogareff, imperturbabile come sempre, ri-