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un campo tartaro

L’arrivo di Ivan Ogareff poteva evidentemente giovare a costoro, perchè una volta riconosciuta la loro qualità di corrispondenti, inglese e francese, niente di più probabile che fossero messi in libertà. Il luogotenente dell’Emiro farebbe intendere la ragione a Féofar, il quale non avrebbe mancato di trattar come semplici spie i disgraziati giornalisti. L'interesse di Harry Blount e di Alcide Jolivet era dunque contrario all’interesse di Michele Strogoff. Costui aveva ben compreso la cosa, e ci vide una nuova ragione da aggiungere a tante altre, d’evitare ogni ravvicinamento co’ suoi antichi compagni di viaggio. Fece dunque in modo da non esser veduto da essi.

Passarono quattro giorni, durante i quali lo stato delle cose non fu menomamente modificato. I prigionieri non intesero parlare della levata del campo tartaro. Erano sorvegliati severamente, e sarebbe loro stato impossibile attraversare il cordone di fanti e di cavalieri che facevano la guardia notte e giorno. Quanto al cibo che era loro distribuito bastava appena a sostentarli. Due volte nelle ventiquattro ore veniva loro buttato un pezzo d’interiora di capra arrostito sui carboni, o qualche boccone di quel formaggio chiamato krut fabbricato col latte acre di pecora, e che, intriso col latte di giumenta, forma il cibo kirghizo più comunemente chiamato kumyss. Conviene aggiungere che il tempo si fece orribile. Avvennero gran perturbazioni atmosferiche che produssero burrasche miste di pioggia. I disgraziati, privi di riparo, dovettero sopportare quelle intemperie malsane, e nessun sollievo fu portato alle loro miserie. Alcuni feriti, donne e fanciulli,

2 — Michele Strogoff. Vol. III.