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michele strogoff


— Senza dubbio, ma un furfante russo. Egli sa che non c’è da scherzare col diritto delle genti, e non ha verun interesse a trattenerci, tutt’altro. Solamente non mi garba molto aver da chiedere qualche cosa a quel figuro.

— Ma quel figuro non è al campo, o almeno non l’ho veduto, disse Alcide Jolivet.

— Ci verrà infallibilmente. Bisogna ch’egli raggiunga l’Emiro. La Siberia è tagliata in due, oramai, e certamente l’armata di Féofar non aspetta più che lui per muovere contro ad Irkutsk.

— E quando saremo liberi, che cosa faremo?

— Quando saremo liberi faremo la nostra campagna, e seguiremo i Tartari, fino a che gli avvenimenti ci permettano di passare nel campo opposto. Non bisogna abbandonare la partita, diancine! L’abbiamo appena incominciata. Voi, confratello, avete avuto la fortuna d’essere ferito al servizio del Daily-Telegraph, mentre io non mi sono buscato nulla al servizio di mia cugina. — Buono, mormorò Alcide Jolivet, eccolo che si addormenta! Poche ore di sonno e qualche compressa d’acqua fresca, non ci vuole di più per mettere in piedi un Inglese. Gl’Inglesi sono fabbricati d’acciajo!

E mentre Harry Blount riposava, Alcide Jolivet vegliò accanto a lui, dopo aver cavato di tasca un taccuino, che coprì di note, deliberato, del resto, a spartirle col suo confratello, per la maggior soddisfazione dei lettori del Daily-Telegraph. Gli avvenimenti gli avevano stretti l’uno all’altro. Oramai non erano più gelosi.

Così dunque, quello che Michele Strogoff temeva più d’ogni altro era per l’appunto, l’oggetto dei più vivi desiderî dei due giornalisti.