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un campo tartaro

dei prigionieri. Egli volle a bella prima far valere la sua qualità di suddito inglese, ma questo non gli servì menomamente al cospetto di barbari che non rispondevano che a colpi di lancia o di sciabola. Il corrispondente del Daily-Telegraph dovette dunque subire la sorte comune, salvo a reclamare più tardi, ed ottenere soddisfazione d’un trattamento simile. Ma il tragitto fu pure penosissimo per lui, perchè la sua ferita lo faceva soffrire, e forse, se non era l’ajuto d’Alcide Jolivet, egli non avrebbe potuto giungere al campo tartaro.

Alcide Jolivet, che la sua filosofia pratica non abbandonava mai, aveva fisicamente e moralmente riconfortato il suo confratello con quanti mezzi erano in poter suo. Prima sua cura, quand’egli si vide chiuso nel recinto, fu di visitare la ferita d’Harry Blount. Riuscì a cavargli destramente l’abito, e vide che la sua spalla era stata soltanto sfiorata da una scheggia di mitraglia.

— Non è nulla, diss’egli. Una semplice graffiatura. Dopo due o tre fasciature, mio caro confratello non si vedrà nemmeno.

— Ma le fasciature? domandò Harry.

— Le farò io stesso.

— Siete dunque un po’ medico?

— Tutti i Francesi sono un po’ medici.

E ciò detto, Alcide Jolivet, lacerando la sua pezzuola, fece delle filaccie con uno dei pezzi, delle compresse cogli altri; prese dell’acqua in un pozzo scavato in mezzo al recinto, lavò la ferita, che fortunatamente non era grave, ed applicò con molta abilità le filaccie e le pezzuole bagnate sulla spalla d’Harry Blount.

— Io vi coro coll’acqua, diss’egli. Questo liquido è ancora il sedativo più efficace che si conosca