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— 12 — michele strogoff |
una specie d’istinto, che su quel traditore appunto importava prendere un vantaggio. Comprendeva pure che la riunione delle truppe d’Ivan Ogareff a quelle di Féofar doveva completare le forze dell’armata invadente, e che una volta radunata quest’armata doveva muovere verso la capitale della Siberia orientale. Tutte le sue paure erano dunque da quella parte, e ad ogni istante ascoltava se mai qualche suono di tromba annunziasse l’arrivo del luogotenente dell’Emiro.
S’aggiungeva a questo pensiero il ricordo di sua madre, quello di Nadia, l’una trattenuta ad Omsk, rapita l’altra sulle barche dell’Irtyche e senza dubbio prigioniera al pari di Marfa Strogoff! Nulla egli poteva fare per esse! E le rivedrebbe mai? A questo quesito, che non osava sciogliere, gli si stringeva il cuore.
Insieme con Michele Strogoff e tanti altri prigionieri, Harry Blount e Alcide Jolivet erano stati condotti al campo tartaro; il loro antico compagno di viaggio, preso con essi al posto telegrafico, li sapeva chiusi al par di lui nel recinto sorvegliato da molte sentinelle, ma non aveva cercato menomamente di avvicinarsi ad esse. Poco gl’importava, almeno in questo momento, quello che essi potessero pensare di lui dopo la faccenda del cambio dei cavalli d’Ichim. D’altra parte ei voleva esser solo per agire solo all’occorrenza; perciò se n’era rimasto in disparte.
Alcide Jolivet, dopo il momento in cui il suo confratello era caduto al suo fianco, non gli aveva risparmiato le proprie cure. Durante il tragitto da Kolivan al campo, vale a dire per molte ore di cammino, Harry Blount, appoggiato al braccio del suo rivale, aveva potuto seguire il convoglio