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— 10 — michele strogoff |
litare. Ciò che si potrebbe chiamare la sua casa civile, il suo harem e quello dei suoi alleati erano a Tomsk, oramai nelle mani dei Tartari.
Levato il campo, Tomsk doveva diventare la residenza dell’Emiro fino al momento in cui egli l’avesse ad abbandonare per andarsene alla capitale della Siberia orientale.
La tenda di Féofar dominava le tende vicine. Fatta con una splendida stoffa di seta, rilevata da cordoni a frangie d’oro, sormontata da nappe che il vento agitava come ventagli, occupava il mezzo d’una vasta radura chiusa da una cortina di magnifiche betulle e di pini giganteschi. Dinanzi a questa tenda, sopra una tavola laccata ed incrostata di pietre preziose, s’apriva il libro sacro del Corano, le cui pagine erano foglioline d’oro sottilmente incise. Al disopra sventolava la bandiera tartara quartata colle armi dell’Emiro.
Intorno alla radura sorgevano in semicerchio le tende dei gran funzionari di Bukara. Colà risiedevano il capo scuderia, che ha il diritto di seguire a cavallo l’Emiro fino nel cortile del suo palazzo, il gran falconiere, l’«uschbegui,» portatore del sigillo reale, il «toptschi-baschi» gran mastro dell’artiglieria, il «kodja.» capo del consiglio, che riceve il bacio del principe e può presentarsi innanzi a lui colla cintura snodata, lo «scheikhul-islam,» capo degli Ulema, rappresentante dei sacerdoti, il «cazi-askev, il quale in assenza dell’Emiro giudica ogni controversia sorta fra i militari, e finalmente il capo degli astrologhi, il cui ufficio principale è d’interrogare le stelle ogni volta che il Kan pensa a muoversi.
L’Emiro, al momento in cui i prigionieri furono condotti al campo, era nella sua tenda. Egli